- 31 Gennaio 2023
Detraibilità IVA fabbricati abitativi, occorre riscrivere la norma

L’articolo 19-bis.1, lett. i), del D.P.R. n. 633/1972 rappresenta ancora oggi fonte di contenzioso nonostante le ormai univoche pronunce dei giudici di legittimità, tra le quali, si registra la recente ordinanza della Suprema Corte n. 35256 depositata il 30 novembre scorso.
La norma richiamata prevede l’assoluta indetraibilità dell’IVA in caso di acquisto, locazione, manutenzione e gestione di fabbricati abitativi – o porzioni di essi – per la generalità dei soggetti passivi. Fanno eccezione le spese sostenute dalle imprese di costruzione e da quelle che pongono in essere locazioni esenti che determinano l’applicazione del pro rata che, al contrario, sono costitutive del diritto alla detrazione.
A parere dei giudici di legittimità, che recepiscono l’orientamento già consolidato della Corte di Giustizia europea, il generale diniego della detrazione è contrario ai principi comunitari. In virtù di tali principi, la detraibilità deve essere preclusa laddove i costi sostenuti siano sostenuti dal consumatore finale quale “utilizzatore in proprio” del bene immobile ovvero nel caso di utilizzo promiscuo da parte del soggetto passivo d’imposta.
Nel febbraio 2012, trattando la causa C-118/11, la Corte di Giustizia ha affermato che il sistema IVA è volto ad esonerare l’imprenditore dall’imposta dovuta o assolta in tutte le attività economiche, al fine di garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale a tutte le attività soggette ad imposta. Per soddisfare tale esigenza, in sede di causa C-334/10 del 19 luglio 2012, il giudice dell’Unione ha stabilito che non può influire sul diritto alla detrazione dell’imposta assolta a monte nemmeno l’uso esclusivo per fini privati di un bene aziendale seguito da un successivo uso per esclusivi fini imprenditoriali. In tal caso rileva l’intenzione del soggetto passivo di destinare all’attività d’impresa il bene acquistato.
E infatti la Corte di Giustizia, in sede di trattazione della causa C-672/16, nel febbraio 2018 ha affermato che il diritto alla detrazione sorge nel momento in cui l’imprenditore acquista un bene o un servizio da destinarsi, anche in previsione, all’esercizio dell’attività economica.
In altre parole, la giurisprudenza comunitaria ha sancito l’importante principio secondo il quale il reale utilizzo del bene o servizio acquistato influisce sulla misura della detrazione, che può essere rettificata negli anni successivi in caso di inutilizzo (e viceversa), ma non sul diritto alla detrazione che sorge anche nel solo caso di previsione di destinazione del bene o servizio acquistato all’attività imprenditoriale.
Coerentemente con la giurisprudenza comunitaria, la Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 35256/2022, si è espressa per la legittimità della detrazione dell’imposta assolta per lavori di ristrutturazione di immobili abitativi che una società agricola avrebbe successivamente locato per finalità agrituristiche. Infatti si deve accertare, in concreto, l’inerenza dei costi all’attività di impresa attraverso la verifica della sussistenza di un nesso oggettivo tra il bene e l’esercizio dell’attività economica del soggetto passivo, «anche tenendo conto di una valutazione meramente prospettica».
I giudici di legittimità hanno affrontato la fattispecie già precedentemente, esprimendosi pressoché nei medesimi termini (ordinanza n. 23694 del 2019 e sentenza n. 12905 del 2021).
Nonostante l’Agenzia delle entrate, quanto meno con riferimento all’esercizio di attività turistico-alberghiere, si sia espressa per la detraibilità dell’imposta con le risoluzioni n. 18/E del 2012 e n. 117/E del 2004, e con la circolare n. 12/E del 2007, evidentemente non si attiene ai suoi stessi documenti. Altrimenti i contenziosi non si giustificherebbero.
Per le attività diverse da quelle del settore turistico-ricettivo, invece, l’Amministrazione finanziaria si è esplicitamente pronunciata per il diniego della detrazione con risposta ad istanza di interpello n. 844/2021. Ma, come si è detto, tale diniego viola i principi comunitari condivisi e recepiti dalla giurisprudenza di legittimità.
Non si può più attendere dato l’ormai consolidato orientamento. Anche nell’ottica di prevenire l’insorgere del contenzioso, occorre riscrivere con sollecitudine l’articolo 19-bis.1, lett. i), del D.P.R. n. 633/1972.